Mobilitazione per Zaki e per Salman Al-Awdah

Patrick George Zaki
Torniamo sul caso di Patrik George Zaki che dal 7 febbraio 2020 è in detenzione preventiva per la sua attività nel campo dei Diritti Umani: di rinnovo in rinnovo questa detenzione è stata estesa periodicamente, fino alla data del 7-10 u.s., quando il fermo è stato prolungato di altri 45 giorni.
Ricercatore dell’università “Alma Mater” di Bologna, mentre andava a trovare la famiglia residente a Mansoura, è stato arrestato il 7 febbraio all’aeroporto del Cairo su mandato della Procura e poi e torturato.

Patrick ha subito un interrogatorio di 17 ore, bendato e ammanettato tutto il tempo, con minacce, colpi allo stomaco e alla schiena, torturato con scosse elettriche. Il caso è molto simile a quello di Giulio Regeni, ma è andata meglio per l’attività tempestiva del padre contattato da Patrick prima di essere sequestrato.

Patrick Zaki è uno studioso e attivista per i diritti umani e, per conto della ONG Egyptian initiative for personal rights (Eipr), si occupa dei diritti della minoranza cristiana, della comunità Lgbtqi, delle donne e di libertà di espressione. Patrick è accusato di incitamento a sovvertire il sistema politico per cambiare i principi costituzionali, di diffondere false notizie intese a minare l’ordine sociale per indebolire il prestigio dello Stato e di disturbare l’ordine pubblico tramite FaceBook e rischia fino a 25 anni di carcere.

Dopo molti rinvii, le prime due udienze del processo si sono tenute solo a luglio. Nella seconda, risalente al 26 luglio, Patrick Zaki ha potuto vedere per la prima volta i suoi avvocati dal 7 marzo. Il 26 settembre, nell’ultima udienza, il tribunale ha deciso un ulteriore rinvio fino a novembre.
Non dimentichiamo però che Patrick purtroppo non è l’unico. Secondo un rapporto pubblicato da Amnesty International e HRW, sarebbero 16mila le persone arrestate per motivi politici dal regime di Al Sisi, sottoposte a isolamento e trattamenti inumani e degradanti. Tra queste segnaliamo il caso di Hoda Adbelmoniem, avvocata per i diritti umani, 61 anni, detenuta dal 1° novembre 2018 nella prigione femminile di al-Qanater con l’accusa di terrorismo, senza l’assistenza di legali e con rarissimi incontri con la sua famiglia: l’ultima volta i suoi parenti l’hanno vista brevemente in un’udienza del 18 luglio 2020.

Di fronte a questi dati l’Italia e la Comunità internazionale non possono più continuare a far finta che tutto ciò sia normale, voltandosi dall’altra parte o continuando a fare affari con l’Egitto (è notizia di pochi giorni che l’Italia ha venduto due fregate italiane agli egiziani). Dobbiamo tenere alta l’attenzione su questo ragazzo per manifestargli tutta la nostra solidarietà.

Come aiutare Patrick Zaki:
Inviare (lettera o mail) i testi allegati (a Ginevra e a Roma)
Firmare almeno una delle petizioni in essere
la petizione su change.org
la petizione di Amnesty International

Salman Al-Awdah rischia la pena di morte
Dal 2017, gli arresti si sono moltiplicati in Arabia Saudita. Il regime mette a tacere le voci critiche. Il predicatore religioso è una delle vittime di questo regime autoritario e violento.

Arrestato nel settembre 2017 senza mandato e motivazione, Salman è rimasto per un anno in prigione senza poter consultare un avvocato. Incatenato, ammanettato, torturato, in isolamento, solo il 4 settembre 2018, è stato portato davanti a un giudice e ha finalmente appreso le 37 accuse contro di lui e la requisitoria del procuratore: la pena di morte. Solo in quel momento ha potuto incontrare il suo avvocato senza poi poterlo consultare regolarmente.

Salman Al-Awdah è accusato davanti alla Corte penale speciale di Ryad che normalmente si occupa di questioni di terrorismo. In realtà questa corte è stata creata proprio per aggirare i diritti della difesa, e utilizzata per perseguire e condannare gli oppositori e i critici del regno. La procedura penale in questa giurisdizione speciale ignora così molte delle garanzie presenti nei tribunali ordinari sauditi, già ben al di sotto degli standard del diritto internazionale per i diritti umani: nessuna assistenza legale nella detenzione preventiva e udienze segrete, di conseguenza nessuna copertura da parte dei media né osservatori né comunicazioni ufficiali delle decisioni dei giudici. Bisogna inoltre aggiungere l’impossibilità per gli avvocati di disporre di comunicazioni scritte.
Il regime saudita si preoccupa di arrestare gli avvocati specializzati nella difesa dei prigionieri per motivi di opinione, e quelli che ancora accettano la loro difesa sono sottoposti a forti pressioni e rischiano l’arresto. Per le famiglie delle vittime è quindi difficile trovare degli avvocati disposi a difendere i militanti dei diritti umani o gli oppositori politici. Imprigionando e minacciando gli avvocati, ricorrendo a udienze segrete il potere si assicura il controllo delle notizie sui processi da pubblicare sulla stampa e della loro diffusione internazionale.

N.B: vi preghiamo di inviare soltanto la mail/lettera in francese, mentre la copia in italiano è solo per informativa.