Sentenza ingiusta. La condanna a morte nella RdC

Joseph Mwamba Nkongo è una delle tante persone condannate a morte ogni anno nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), stato africano non abolizionista. Sebbene dal 2003 viga una moratoria, la RdC continua a comminare regolarmente la pena di morte.

Il 25 dicembre 2021 Mwamba ha ucciso la moglie mentre si trovavano al mercato nel comune di Matete a Kinshasa. Già prima della sua deposizione, sarebbe stato brutalmente picchiato da poliziotti e passanti nell’indifferenza generale.

Processato il 28 dicembre 2021 davanti all’Alta Corte di Kinshasa/Matete, tre giorni dopo il suo arresto, Mwamba non ha potuto beneficiare di condizioni eque per il suo processo: in violazione del principio del contraddittorio, il tempo di parola concesso agli avvocati di parte civile ha ampiamente superato quello dei loro omologhi difensori. Il processo si è concluso con la condanna a morte. Da allora Mwamba è stato detenuto nella prigione centrale di Makala e ora è uno degli oltre 500 detenuti nel braccio della morte in attesa di esecuzione, senza conoscere la data, mentre la sua salute è peggiorata in modo preoccupante.

L’incapacità da parte della giustizia congolese di garantire l’equità del processo è incompatibile con molti degli impegni internazionali assunti dal paese. La RDC ha ratificato il Patto sui diritti civili e politici nel 1976. Il commento generale n. 36 del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite sul diritto alla vita specifica inoltre che se gli Stati membri non sono obbligati ad abolire la pena di morte, devono comunque garantire le condizioni di un equo processo. Lo ricorda anche il Commento generale n. 3 sull’articolo 4 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, a cui la RDC ha aderito il 28 luglio 1987. Dunque sia stando al diritto internazionale che a quello regionale, il procedimento contro Mwamba presenta numerose falle.

Infine, se realmente Mwamba ha subito tortura durante il fermo presso la stazione di polizia, allora avrebbe dovuto ricevere “cure mediche adeguate” da parte dello Stato congolese, ai sensi dell’articolo 50§A delle Linee guida di Robben Island, stilate per garantire la corretta applicazione dell’articolo 5 della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, che sancisce il diritto di ciascuno al rispetto della propria dignità. Ciò non è accaduto.

Il dramma nel braccio della morte
Joseph Mwamba, come molte altre persone detenute in questa stessa prigione (più di 500), ha un accesso insufficiente alle cure mediche e al cibo, il che grava negativamente sulle sue condizioni di salute pisco-fisiche rese ancora più drammatiche dall’incertezza della data di esecuzione. Una situazione frequente poiché nella Repubblica Democratica del Congo dal 2003 vige una moratoria, il che evidenzia ulteriormente la natura disumana della pena di morte. In questo Paese una persona condannata può vivere per anni con la sensazione di una morte imminente.

Ciò espone i condannati al rischio di sviluppare la “sindrome del braccio della morte”, che il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e le condizioni di detenzione aveva indicato nel 2012 come fonte di gravi traumi psicologici o sofferenze fisiche, in violazione del divieto di tortura, divieto che la Repubblica Democratica del Congo ha l’obbligo di rispettare.

Anche per quanto riguarda le condizioni di detenzione, lo Stato congolese risulta inadempiente nei confronti degli impegni internazionali, in particolare la Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti di cui è parte dal 1996 e in particolare l’articolo 16 che stabilisce che “Ciascuno Stato membro si impegna a vietare in qualsiasi territorio sotto la sua giurisdizione atti che costituiscono trattamento o punizione crudele, atti inumani o degradanti che non siano atti di tortura come definiti all’articolo 1 quando tali atti sono commessi da un pubblico ufficiale o da qualsiasi altra persona che agisca in veste ufficiale, o su sua istigazione o con il suo consenso espresso o tacito. “

Infine, l’accesso insufficiente al cibo e all’assistenza sanitaria viola rispettivamente il n. 22 e 24 delle Regole minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti, note come Regole Mandela.

Per tutti questi motivi, è essenziale che lo Stato congolese:

  • Commuti la condanna a morte di Joseph Mwamba Nkongo;
  • Riesamini il processo a Joseph Mwamba Nkongo per garantirgli condizioni eque, in particolare per quanto riguarda il rispetto del diritto alla difesa e il principio del contraddittorio;
  • Migliori le condizioni di detenzione di Joseph Mwamba Nkongo, affinché possa beneficiare dell’accesso a cure e cibo soddisfacente, nonché di un monitoraggio medico rispondente agli atti di tortura subiti;
  • Infine, per porre fine alla problematica situazione dell’intollerabile attesa nel braccio della morte, che si impegni a commutare tutte le sentenze capitali e decida finalmente di non emettere più sentenze di condanna alla pena capitale.

    *Appello comune a tutte le ACAT del mondo in occasione del 10 ottobre

Fonte: ACAT RdC

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Giobbe 34:17
Può mai governare chi odia il diritto?
E tu osi condannare il Gran Giusto?