Tortura. Quando il processo non è “urgente”
A cinque anni dall’introduzione del reato di tortura, sono sempre più numerosi in Italia i processi in corso per violenze e trattamenti degradanti, spesso all’interno delle carceri.
Dopo le prime due condanne per tortura e violenze sui detenuti inflitte ad agenti di polizia penitenziaria a Ferrara e San Gimignano, episodi di violenza in carcere sono stati denunciati anche a Torino, Palermo, Milano, Melfi, Santa Maria Capua Vetere, Pavia e Monza. Le indagini sono ancora in corso ma la situazione nelle carceri, tra violenze e sovraffollamento, è così preoccupante che è stata ricordata dallo stesso Presidente Mattarella nel suo discorso di inizio mandato: “dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti”.
Recentemente due provvedimenti giudiziari, fortemente criticati da una parte dell’opinione pubblica, hanno reso di particolare attualità i fatti avvenuti all’interno del carcere “Lorusso e Cutugno” di Torino.
I fatti
L’inchiesta sulle presunte torture a carico di 22 agenti di polizia penitenziaria è nata da diverse segnalazioni provenienti dal garante comunale dei detenuti Monica Gallo, ma anche dall’ex vicedirettrice del carcere Francesca D’Aquino che dopo aver ricevuto una segnalazione di violenza su un carcerato ha trasmesso gli atti alla procura andando contro la consuetudine di limitarsi a un’indagine interna. Dall’indagine sono emerse anche segnalazioni di medici, insegnanti e psicologi.
Di particolare gravità la circostanza che la maggior parte delle vessazioni, proseguite per tre anni, dal 2017 al 2019, sia avvenuta all’interno del padiglione C destinato ad autori di reati a sfondo sessuale, i cd. sex offenders. Spesso, infatti, tali detenuti vengono ristretti in sezioni ad hoc del carcere per impedire che il disprezzo che tale tipologia di reati può suscitare negli altri detenuti li esponga a violenze.
Umiliazioni che non hanno risparmiato neppure detenuti in condizioni di evidente fragilità: è stato segnalato il caso di un detenuto con problemi psichiatrici sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, sedato e trasportato in ospedale praticamente nudo, ammanettato e con un bavaglio sulla bocca.
Tra gli imputati ci sono anche due sindacalisti, accusati di rivelazione di segreto e favoreggiamento, nonché l’ex comandante Giovanni Battista Alberotanza e l’ex direttore della casa circondariale Domenico Minervini, entrambi accusati di favoreggiamento e omessa denuncia.
La prima udienza a luglio 2023
Nonostante la gravità delle imputazioni, con dodici detenuti che sono parti lese, la prima udienza è stata fissata al 4 luglio 2023, con forti critiche del Garante Nazionale dei detenuti Mauro Palma. Il tribunale, pur senza entrare nel merito della questione, ha respinto la richiesta avanzata dalle parti civili di anticipare il dibattimento ritenendo che il processo non presenti i caratteri tecnici di urgenza e necessità che consentirebbero di anticiparne la trattazione.
Il comandante mantiene il proprio ruolo in attesa del processo
Inoltre, mentre Minervini è stato rimosso dall’incarico dopo l’apertura dell’inchiesta, il 18 maggio scorso il Tar del Piemonte ha bloccato in via cautelare tutte le sanzioni disciplinari adottate dal Dap (dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) nei confronti di Alberotanza riconoscendogli il mantenimento del ruolo di comandante di Torino, in attesa che a luglio si discuta la questione nel merito.
Alberotanza e Minervini, che hanno scelto il rito abbreviato, negli interrogatori iniziali si sono difesi asserendo che le segnalazioni consistessero in semplici “voci di corridoio” che non permettevano l’identificazione degli agenti a cui erano addebitate le violenze.
Dalle intercettazioni, tuttavia, è emerso un diverso quadro dei fatti: l’ex direttore, nel tentativo di proteggere i suoi uomini, li aveva infatti invitati a non parlare degli episodi di violenza al telefono (“Non chiamate gli indagati, credono più ai detenuti che a voi”; “Le coercizioni ci sono sempre state, ma abusive e non tracciate”).
Di nuovo in servizio nello stesso padiglione in cui sono avvenuti i fatti
Non solo, il Garante ha sottolineato che gli agenti della polizia penitenziaria rinviati a giudizio con l’accusa di torture nei confronti dei detenuti, dopo un periodo di sospensione dall’attività lavorativa e domiciliari, sono ancora in servizio. Alcuni degli agenti materialmente imputati per le presunte condotte di tortura sarebbero addirittura rientrati nello stesso padiglione in cui sarebbero avvenuti i fatti contestati dall’accusa.
Al di là dei tecnicismi e della necessità di garantire il principio di innocenza fino a prova contraria, Palma ha ricordato che si tratta di un’imputazione grave, i cui valori lesi richiederebbero maggiore urgenza, non solo per verificare se ci siano o meno delle responsabilità, ma soprattutto per salvaguardare i detenuti da nuovi possibili abusi.
Paola Maffei*
FONTI:
- ANTIGONE XVII, Claudio Paterniti Martello: Rapporto sulle condizioni di detenzione. La tortura in carcere in Italia. La panoramica sui processi.
- Lavialibera.it, Rosita Rijtano: Carcere, gli abusi della polizia penitenziaria non sono urgenti;
- REPUBBLICA, Federica Cravero: Torture in carcere a Torino, gli agenti a processo sono già tornati in servizio;
- REPUBBLICA, Ottavia Giustetti e Sarah Martinenghi: Botte, insulti e umiliazioni nel carcere di Torino: “Il direttore sapeva”;
- RISTRETTI ORIZZONTI, Giuseppe Legato: Torino. Ecco tutte le torture in carcere: “Così ci umiliavano tra le risate”
*Laureata in Giurisprudenza ha collaborato con Avvocati di strada Onlus. Associazione nazionale per la tutela legale gratuita delle persone senza dimora. Ha svolto tirocinio formativo presso il Tribunale di Genova, sezione III penale – specializzata per il riesame e fatto pratica forense presso uno studio legale. Appassionata di diritto, segue da sempre l’operato di diverse ong tra cui Amnesty international e Human Rights Watch. Sta studiando per diventare magistrato