DICEMBRE 2019: PAKISTAN-BURUNDI

PAKISTAN: Coniugi cristiani rischiano la morte per blasfemia
Coppia cristiana condannata a morte per blasfemia nell’aprile del 2014. Fissata dopo 5 anni l’udienza di appello che è iniziata presso l’Alta Corte di Lahore il 25 giugno scorso.
Shafqat Masih e sua moglie Shagufta Kausar, residenti a Goira nella  regione del Punjab sono stati condannati a morte nel 2014 dopo che l’imam Muhammad Hussain li ha accusati di avare scritto messaggi offensivi su Maometto sul telefonino. L’imam ha dichiarato di aver ricevuto quei messaggi da un numero che, secondo lui, rispondeva a quello di Shagufta Kausar. In un primo momento Shafqat, paralizzato dalla vita in giù, aveva confermato l’accusa a suo carico, nonostante sia analfabeta e dunque incapace di scrivere sms nella sua lingua e tanto meno in inglese, lingua usata per gli sms incriminati. Successivamente ha ritrattato, affermando che la confessione gli era stata estorta con le minacce e sotto tortura. I coniugi, difesi dallo stesso avvocato che aveva difeso Asia Bibi, sostengono che all’origine della denuncia per blasfemia non c’era altro che un banale litigio tra i loro figli e quelli dei vicini. L’alterco avrebbe suscitato il desiderio di vendetta degli abitanti che avrebbero rubato la carta di identità della donna, disponibile nell’archivio dell’ufficio dove lavorava e successivamente utilizzata per acquistare la scheda telefonica da cui è stato inviato l’sms.
L’avv. Malook per difendere i coniugi è tornato appositamente in Pakistan dall’Europa, dove si era rifugiato in seguito alle minacce di morte ricevute dai radicali islamici per aver difeso Asia Bibi, e ha visitato la donna nel carcere di Multan e ha raccontato che la signora è stata rinchiusa nella stessa cella occupata da Asia Bibi prima dell’assoluzione da parte della Corte suprema. In quanto a Shafqat Masih, la lunga detenzione e le condizioni fisiche gravemente deteriorate hanno pesantemente aggravato il suo stato di salute psicofisico.
Il processo si annuncia lungo e difficile in quanto la legge sulla blasfemia prevede il carcere a vita e la Pena di Morte per reati dai confini molto labili, facilmente utilizzabili come arma contro le minoranze, e viene spesso usata per portare a termine vendette e questioni personali. Negli ultimi anni, almeno sessanta persone sono state linciate e uccise prima che il loro caso si fosse concluso processualmente solo perché accusate di avere offeso l’Islam.
Questa legge è stata spesso criticata dalle associazioni per i diritti umani e dai politici che si battono per la difesa della libertà religiosa nel paese. Sono stati fatti diversi tentativi per modificare la legge, tutti senza successo e col solo risultato di radicalizzare ancora di più gli estremisti e i fanatici. Il ministro Shahbaz Bhatti ha pagato con la vita la sua battaglia contro queste norme.
BURUNDI: Condanna arbitraria per Germain Rukuki (ACAT)
Il 13 agosto 2019, il gruppo di lavoro dell’ONU riguardante Germain Rukuki ha ritenuto che «la privazione di libertà di Germain Rukuki sia arbitraria».
In una data non conosciuta, al gruppo era stato segnalato il caso di Germain Rukuki – difensore dei diritti umani del Burundi imprigionato dal 13 luglio 2017 –da una fonte che per sicurezza è rimasta segreta. Il 19 marzo 2019, il gruppo di lavoro ha trasmesso al governo del Burundi una comunicazione su Germain Rukuki per conoscere la sua versione dei fatti senza però avere alcuna risposta ufficiale Il governo ha inviato solo una « nota verbale » informando che l’ACAT-Burundi era stata esclusa dalla lista delle organizzazioni della società civile, suggerendo anche che l’ACAT-Burundi fosse la fonte e richiedendo di non accordare credito alle informazioni ricevute. Il gruppo di lavoro ha considerato la nota priva di pertinenza dato che non apportava elementi di informazione sulla questione. Dopo aver esaminato tutti la documentazione in suo possesso il 13 agosto 2019, ha adottato la risoluzione n°37/2019 per la quale, ritenendo «la privazione della libertà di Germain Rukuki arbitraria», le autorità del Burundi avrebbero dovuto liberarlo immediatamente e riconoscergli il diritto ad ottenere risarcimento. Il 25 settembre 2019, la risoluzione è stata resa pubblica.
Germain Rukuki lavora per l’Associazione dei giuristi cattolici del Burundi (AJCB) ed è presidente di Njabutsa Tujane, una associazione comunitaria i cui obbiettivi sono la lotta contro la povertà e la fame e il miglioramento della salute del popolo. Ha lavorato anche per l’ACAT-Burundi.  Il 13 luglio  2017, verso le 6 del mattino, la polizia municipale di Bujumbura effettuò una perquisizione  del domicilio di Germain Rukuki, prelevando sia il suo computer sia quello di sua moglie arrestandolo senza mandato. L’operazione fu condotta da un ufficiale della polizia giudiziaria in accordo con il Servizio nazionale di informazioni (SNR).
Il 26 luglio 2017, dopo 13 giorni di detenzioni nella sede del SNR, Rukuki fu trasferito nella prigione di Ngozi senza essere ascoltato dal magistrato del tribunale che aveva firmato il suo arresto. Fino a quel momento non aveva potuto contattare i suoi familiari e il suo avvocato. La prima audizione si tenne il 1er agosto 2017 e il Sostituto Procuratore generale della Repubblica, che si occupa dei dossier relativi al tentativo di colpo di stato de 13 maggio 2015, ha accusato Rukuki d’attentato alla sicurezza nazionale e di ribellione, per aver collaborato con l’ACAT-Burundi, radiata dal Governo nell’ ottobre 2016. Secondo le autorità del Burundi, l’ACAT-Burundi avrebbe organizzato delle manifestazioni nell’aprile 2015 per contestare la terza candidatura dell’attuale Presidente alla presidenza della Repubblica, e avrebbe partecipato al tentativo di colpo di stato del 2015 e alla redazione di un rapporto critico sulle istituzioni del Burundi. Il 26 aprile 2018 il tribunale lo ha condannato a 32anni di prigione pur in mancanza di prove. Gli avvocati della difesa hanno messo in evidenza le violazioni palesi delle regole di procedura penale ma senza risultato essendo stato anche impedito loro il completo accesso al dossier, l’appello presentato il 29 maggio è stato respinto e la condanna confermata. Insieme a tutte le ACAT continueremo la nostra azione fino alla liberazione di Germain.